Operazione Aden : Già dall’aeroporto fece una pessima impressione a tutti. Un degrado, una miseria come ne avevo viste poche anche nel terzo mondo. Ma già, questo non era solo terzo mondo ... era terzo mondo comunista. L’aeroporto era una specie di capannone, sporco e trascurato, con i pavimenti in cemento e sconnesso in più punti. Subito fuori c’era una piazzola in terra battuta, con qualche cespuglio circondato da capre, dove alcuni rottami di auto, chiaramente Inglesi ante-guerra e di colore ex-nero, pretendevano di essere taxi. Ma fatto sta che non c’era altro e la città non sembrava dietro l’angolo. Riempimmo tre di quei cosi, eravamo diciannove. Ci portarono nell’unico albergo decente della città, forse si chiamava Karlton, non ricordo, ma era di chiara costruzione Inglese. Aden era stata una colonia di sua Maestà Britannica e quell’albergo era firmato Gran Bretagna anche nelle sedie, anche perché, sicuramente, non erano state mai modificate né manutenzionate ... come tutto il resto. La città era miserella e sporca, le strade in terra battuta. Le case, del genere popolar-comunista del terzo mondo arabo, non ricordavano una mano di bianco dall’epoca di Noè. Lungo le strade le solite stelle rosse appiccicate dovunque. Uno spettacolo davvero desolante e deprimente. Bene ! - mi dissi - cerchiamo questo cacchio di Somalo e via di qui, più veloci della luce !. L’albergo aveva l’aria condizionata per fortuna, perché l’aria era davvero rovente.

Io affrontai l’aria bollente del primo pomeriggio per rintracciare il motivo del mio viaggio. Un Eritreo dotato di "Taxì" e che parlava benissimo Italiano, mi portò nella città vecchia e nel magazzino che cercavo. Non mi aspettavo certo una boutique, ma quel che vidi non me lo sarei potuto immaginare ! Un ragazzo di circa 20 anni era seduto in terra, indossava una camicia ex-rossa con ex-bermuda che un tempo, forse, erano stati kaki. Merci non ne vedevo ... a parte alcune cassette di legno in un angolo in fondo al locale che aveva le pareti dipinte in un colore che doveva essere stato rosa. Mi guardò sorpreso mentre dicevo in Italiano : Siete proprio ridotti male eh ?. Si alzò di scatto. Era alto come me, ma era pelle e ossa. Le gambe sembrarono trampoli quando andò, con due falcate, in fondo al locale, verso le cassette. Tornò con una maglietta piegata ed una penna. Compra qualcosa - disse e sussurrò : ... sei "uno" ?. Come risposta lo toccai sulla spalla : dammi la penna - dissi. Era una penna dorata a strisce nere, mi piaceva. - Quanto vuoi ?- aggiunsi. Gli diedi i Dinari Yemeniti che mi chiese dicendo : ...si !. Hai con te i documenti ?- disse, guardandosi intorno. Per tutta risposta alzai la maglietta che indossavo e la busta era infilata lì, sotto la cintura, umidiccia di sudore per quel caldo infernale. Sembrò preso dal panico, non sapeva se fuggire o che fare. Decise di afferrare la busta e, in un attimo, la vidi sparire sotto le cassette. Stai calmo - dissi - ho controllato la strada, è tutto tranquillo, non c’è nessuno ed io sono un turista che ti ha comprato la penna , OK ?. Sembrò calmarsi e aggiunsi : devi dirmi o darmi qualcosa ?. Fece di no col capo e disse : tu non sai cosa hai rischiato, qui la polizia arriva all’improvviso, arresta tutti, perquisisce, sequestra, tortura. Se ti trovava con i passaporti addosso ... Terminò la frase mordendosi il labbro ed agitando le mani che sembravano zampe d’uccello. Ecco cosa mi ricordava, i fenicotteri rosa ... i flamenços ! aveva anche la maglietta rosa, mi misi a ridere davanti alla sua espressione sempre più sorpresa. Ora vai ti prego - disse - è troppo pericoloso che stai qui. Ciao - gli dissi. ... - Ciao Italiano - Rispose lui. E non lo vidi più.

Raggiunsi il taxista Eritreo, mi aveva aspettato dietro la promessa di una mancia. Il dovere l’avevo fatto. -Portami in discoteca - gli dissi. Ci volle un Pò’ per fargli capire che volevo andare in un posto dove c’era musica. Lì non ce n’era. Però, lui conosceva un posto dove, più tardi, facevano la danza del ventre, mi ci avrebbe portato. Mi riportò all’hotel, alle nove sarebbe venuto a prendermi.Lo dissi ad Angelo, ma non era entusiasta del posto. La radio trasmetteva sempre la stessa nenia oppure proclami in Arabo (per lui che conosceva a memoria i nomi di tutti i gruppi Rock era assurdo). Per le strade non c’era anima viva e faceva un caldo da morire. In albergo almeno c’era l’aria condizionata. Perciò io non mi muovo di qua fino a che non partiamo - disse. Andai con il Taxista nel "Dancing". Un luogo più squallido non lo vidi mai più!. Eravamo nella periferia di Aden, in una casa di blocchi di cemento senza nemmeno intonaci. Alcuni tavoloni in cerchio, in una sala male illuminata, facevano da cornice ad una poveretta che, vestita con i veli tipici delle danzatrici Arabe, ballava meritando, di certo, una cornice migliore. Mi sedetti ad un tavolo ed ordinai una birra. Il divertimento consisteva nell’alzarsi per andare ad infilare una banconota nel reggiseno o nella mutandina della ballerina. Si erano avvicinate al mio tavolo delle ragazze, chiaramente si prostituivano. Una aveva un braccio e la faccia mezza bruciata e l’altra non era ridotta meglio. Comunque offrii loro da bere, poggiai gli occhiali sul tavolo, ed andai verso la ballerina per provare "la peccaminosa ebbrezza" di mettergli una banconota nel reggiseno, sfiorandole il seno (perché ... era tutto qui !). Lo feci tra l’approvazione generale e tornai al mio tavolo. Gli occhiali erano spariti !. Chiesi alle due sedute lì chi li avesse presi, mi indicarono un grassone lì vicino. Lo raggiunsi, mi rispose malamente e scoppiò una rissa, con tavoli che volavano insieme a calci e pugni. In breve, arrivò la polizia Yemenita e ci ritrovammo tutti al posto di polizia. Furono molto corretti, mi chiesero quanto valevano gli occhiali, si sorpresero molto ad un simile valore (il costo normale di un paio di Ray-ban !) ed interrogarono tutti. Dopo ore seduti lì, come sempre accade (in queste cose tutto il mondo è paese !), gli occhiali non si trovarono e mi riaccompagnarono in hotel. Il giorno dopo andammo a fare due passi con Angelo, visitammo il museo della rivoluzione. C’erano uniformi, armi e cimeli della lotta del popolo Yemenita contro l’invasore Inglese. Fummo presto fuori, nelle strade. In lontananza si vedevano delle montagne, Aden era circondata da montagne rocciose e pietraie che rendevano l’aria ancora più calda. Angelo rideva del modo di camminare dei ragazzi che si tenevano per mano come "fidanzatini" mentre, le poche donne che incontravamo, camminavano rasente ai muri guardando a terra ed indossavano vestiti neri da palombaro. Proprio un bell’ambientino non c’è che dire.

Il giorno dopo, di sera, eravamo in camera, sentii della musica Araba provenire da fuori, mi affacciai alla finestra e vidi, nel recinto sotto l’albergo, arredato di fiori e tappeti, un matrimonio tradizionale. Bellissimi costumi e bellissimo corteo, con la sposa che procedeva in portantina dietro ad un lenzuolo insanguinato (... forse esageratamente !) ed una Danzatrice che agitava sinuosamente il ventre davanti agli ospiti ... tenuti a bada da un magnifico Leopardo (o era un Ghepardo ...boh?). Guardavo estasiato questo spettacolo inatteso, pensando già di scendere ed invitarmi al matrimonio (mi interessava, soprattutto, conoscere la ballerina, ma avrei fatto gli auguri anche agli sposi!) quando, all’improvviso, tutto si interruppe, musica e danze, tutti urlarono e guardarono verso di me. Chiusi la finestra e andai sotto la doccia. Dopo poco arrivò, di nuovo, la polizia. L’aveva chiamata la direzione dell’albergo poiché i parenti degli sposi avevano tentato di sfondare la porta dell’hotel per punire gli infedeli che avevano profanato il matrimonio Islamico ... guardandolo !. Li convinsero a desistere, ma ci diffidarono ad aprire di nuovo le finestre. Si, proprio un bell’ambientino. Non vedevamo l’ora che arrivasse la T/n Atria per levarci da lì. Ma quella missione facile, facile, non era ancora finita.

(Danzatrice con Leopardo al Matrimonio Yemenita)

Una volta a bordo, la nave, invece di dirigere in Italia, dove avrei potuto godermi un periodo di meritato riposo, fece rotta verso il golfo Persico e gli Emirati Arabi. Risalimmo il Tigri fino ad Al Basrah. Arrivammo a Bandar el Mah-shahr e ad Abadan in Persia, ... una vera fornace !. Così dovetti fare il Fuochista in una turbo nave, quindi, in mezzo a caldaie, tubi di vapore roventi e forni accesi che parevano la bocca dell’inferno e, dulcis in fundo, ... nel posto più caldo del mondo !.

E , dopo un mese all’inferno, per rilassarci un pò, arrivò l’ordine di fare rotta verso la Nuova Caledonia (Territori Francesi d’oltre mare) ... dopo l’India, dopo l’Indocina, dopo il Borneo, dopo Timor, dopo l’Australia, nell’oceano Pacifico !. Non basta ancora, in mezzo all’oceano indiano, per un avaria al desalinizzatore dell’acqua, dovemmo razionare l’acqua e questo, per un mese di navigazione senza scalo. Fu così che quell’incredibile 1975 lo conclusi, smarrito, a vagare per le isole del pacifico. Devo dirvi però che, in tutto quel periodo, non mi perdevo mai i Tramonti del sole, resi mirabolanti di colori mai visti dai venti monsonici. Uno spettacolo che ci portava ogni giorno a sederci a poppa, in silenzio, per attendere l'inizio della rappresentazione; cominciava di colpo, il celo diventava violentemente rosso, poi viola, giallo, verde arancio e poi di nuovo rosso ... incredibile ed indescrivibile, dovreste andare a vederlo ... dal canale di Singapore fino a Timor nel periodo dei monsoni di Settembre (più o meno). Vagai così fino a che, ritrovato il senno, non riuscii a raggiungere Dubai, negli Emirati Arabi del Golfo, dove, ancora incredulo, potei prendere un aereo che mi portò in Italia e, questa volta senza trucchi, poco prima di Natale del ’75, sbarcai a Roma Fiumicino.

Il primo quotidiano Italiano che comprai dava la notizia che le truppe Cubane erano appena sbarcate a Luanda, su mandato O.N.U., per "pacificare" il paese. Lo buttai via ... senza fare commenti. Intanto quel 1975 si era concluso ed una grossa fetta di mondo era caduta per la Democrazia ed il Diritto, un sacco di miei commilitoni erano andati e, ciò che mi appariva più incredibile, era il fatto che tutto ciò accadeva tra il consenso generale ... almeno stando a ciò che leggevo, di quando in quando, sui giornali o veniva urlato nei cortei di "protesta" che in quegli anni erano frequentissimi. Mi sarebbe piaciuto poter dire qualcosa anch’io a quei "compagni" : Ma siete impazziti ! ?, ma lo sapete che se prendessero il potere quei personaggi che idolatrate, per Voi ci sarebbe il campo di concentramento e lunghi, lunghissimi anni di rieducazione ?. Ma lo sapete chi è davvero Pol-Pot, cosa fanno i suoi Khmer-rossi alla popolazione inerme, soprattutto ai "capelloni ribelli" come Voi ! ? - avrei detto. Noi almeno abbiamo provato ad impedire che quei banditi commettessero i loro crimini ... e Voi ?. Ma noi non ce l’avevamo la possibilità di parola, il potere di esprimere opinioni era della stampa, non ci apparteneva di sicuro.

Nel 1976 non ci furono ordini per me. Se si esclude un incarico idiota: durante il periodo di carnevale '76, mi fu richiesto da uno "nuovo", che mai avevo veduto al comando, ma conosceva il mio codice, di controllare se, in una agenzia cinematografica di Roma, effettivamente, si svolgevano attività sovversive. Mettevano annunci sui giornali per cercare "nuovi talenti da avviare alla professione di Attori-Attrici". Mi bastò rispondere e presentarmi in agenzia per sapere tutto quel che c'era da sapere!. Nessuna attività sovversiva, si trattava di cinema d'avanguardia, facevano cose poco comprensibili dal punto di vista artistico ... boh!, ma erano cacchi loro!. Conobbi alcune aspiranti attrici, con le quali feci amicizia, ma non per carpire le informazioni che non c'erano. L'agenzia era frequentata anche da attivisti "Gay", ma anche questi erano cacchi loro. Partecipai ad un paio di provini cinematografici per un film ... o non so cosa: "I cavalieri del nulla", così lo chiamava il regista, un tipo simpatico, sicuramente sinistrorso, ma sempre cacchi suoi erano!. Feci quei provini, ma solo per concludere con scrupolo anche quella missione idiota!. Feci il rapporto una decina di giorni dopo, alla stessa persona che me la ordinò e credo che, dal mio atteggiamento, risultò evidente che non era il caso di affidarmi ancora incarichi da sbirro!.

Approfittai di quel periodo di calma per cercare un imbarco diretto negli Stati Uniti, volevo conoscere l’America, non l’avevo mai vista se non al cinema. E avevo bisogno di ... Democrazia.

(New York)

Trovai un imbarco su un mercantile della Costa Armatori di Genova, si chiamava M/n Luisa C. Era un vecchio cargo col ponte al centro che, nel dopoguerra, era stato usato anche per trasportare emigranti Italiani in America (ammassati in quelle stive attrezzate alla bell’è meglio, povera gente !). Speravo che avessero avuto fortuna tutti !. Arrivare a New York e passare sotto la Statua della Libertà mi emozionò molto. Non scesi sottocoperta fino all’arrivo. Pensavo, guardandola, a quanti Italiani e perseguitati di tutto il mondo erano riusciti a passarci davanti così, provando le stesse emozioni ... ed a quanti, invece, non ce l’avevano fatta !. New York mi piacque molto, soprattutto le ragazze. Ce n’erano di tutti i tipi e di tutti i colori, proprio come piaceva a me. C’era musica bellissima dappertutto, un sacco di locali, di negozi, di luci, di colori. Mi trovai anche coinvolto in una rissa in una discoteca della 42° Str. a Manhattan ... quante botte ragazzi !, finì tutto distrutto, ma che mi venga un accidenti se so perché è scoppiata !. Per fortuna feci a tempo a scappare prima che arrivasse la polizia, il mio permesso era per 28 giorni e c’ero da 4 mesi, ma l’America era così bella !. Rientrai in Italia nella primavera del 1977. Naturalmente non trascurai mai gli ordini di tenermi in contatto con l’Ufficio X°. Restai in America fino a che non mi dissero di rientrare, visitai anche Baltimora, Philadephia, Boston, Norfolk. Dovevo continuare a fare il Marittimo, ma dovevo restare a disposizione a Genova, pronto ad imbarcare su una nave diretta sul teatro delle operazioni. A Genova mi organizzai in lavori di comandata, sulle navi in porto, della stessa compagnia Costa Armatori con la quale ero stato in America. Aveva delle bellissime navi da crociera ed io, in tutto quel lusso, mi sentivo un pascià. Mi utilizzavano, nei brevi tragitti tra porti Italiani, per sostituire il personale di Macchina che approfittava di quelle soste andando a casa ... per qualche giorno in famiglia. Noi gente di mare le chiamiamo "corvè". Ho un buon ricordo di quel periodo, molto tranquillo e tra brava gente. In più capitavano certe passeggere ... che erano proprio niente male !.

 

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