L'"Isola sul Me-Kong Hau-Giang

Passai il Natale ed il capodanno 1974-75 con mia Madre e mio Padre. Fui libero fino a fine Gennaio 1975. Fui chiamato all’Ufficio X° a Roma . Là fummo informati che in Vietnam era in corso una grande offensiva contro l’Armata Americana che stava già smobilitando e ritirandosi da Saigon in seguito agli Accordi di pace. Secondo le informazioni raccolte dalla III° Centuria delle "Colombe", alcune Divisioni Corazzate Viet-Kong, attraverso la Cambogia, al riparo dagli attacchi aerei Americani, spostandosi di notte, si dirigevano verso una serie di ponti di barche, preparati da tempo e nascosti tra le rive di diversi bracci del Mekong ; ed alcune Divisioni di fanteria, attraverso la catena dell’Annam, sfruttando Ponti di corde sospesi tra le gole di quei monti, stavano marciando a tappe forzate verso Saigon e la retroguardia Americana. Le Colombe avevano procurato mappe molto precise degli obiettivi, ma non era possibile identificarli e colpirli dal cielo. Da ricognizioni aeree Americane effettuate, infatti, non risultava niente, ed il comando Americano, sotto un pesante attacco, giudicò inattendibili le informazioni delle Colombe. Loro, invece, erano sicure che i Viet-kong, arrivando in Viet-nam dalla Cambogia e potendo utilizzare quei ponti di barche già pronti, sarebbero piombati su Saigon con centinaia di Carri T-54 e centinaia di migliaia di uomini con i quali fare strage della retroguardia U.S.A. Questo piano lo avevano chiamato :"offensiva del Tet" e l’attacco in forze, su Saigon, contemporaneamente, da W-SW, Nord ed E-NE, sarebbe stato sferrato il dieci febbraio 1975. Era l'ultimo giorno dell'anno della "Tigre di legno", poi, sarebbe iniziato l'anno del Gatto di legno e, Vò Nguyèn Giap, era nato nell'anno del "Topo d'Acqua" il più astuto, avventuroso e agile, di movimento e di pensiero, dei segni dell'Oroscopo Cinese, di cui Giap era fanatico conoscitore!

(Annam: Aquile?)

...non avrebbe mai iniziato un offensiva nell'anno del Gatto! ...Ma gli Americani non conoscevano l'Oroscopo Cinese!!!

 

Era stata scelta quella data personalmente dal Generale Vò Nguyèn Giap, membro del Vietminh e Capo dell’Armata Viet-kong, anche perché portò fortuna ai Viet-Kong in tutte le precedenti offensive iniziate in corrispondenza del capodanno Viet, a partire da Dien Bien Phu, contro i Francesi, nel ’54, e ... nessuno è superstizioso quanto Loro ! Io la ricordo con precisione perché era il mio compleanno, 10 Febbraio 1954, anno del Cavallo di Legno Yang. L’America si stava già ritirando da Saigon, stava evacuando gli ultimi reparti ed i civili. L’attacco Viet-kong aveva solo scopo dimostrativo. Volevano dare una lezione agli U.S.A e dimostrare tutta la Potenza del blocco Comunista in Asia. Se fosse riuscito, per tutto l’Occidente Democratico sarebbe stato un colpo mortale, forse la storia avrebbe avuto un altro finale. Questo almeno era ciò che pensava il numero 1.

Aveva informato il capo della C.I.A a Roma di quanto ci aveva detto, ma non era stato creduto e la C.I.A si atteneva ai rapporti delle ricognizioni aeree che davano esito negativo. Il disinteresse mostrato, verso le nostre informazioni, era tale che il numero uno pensava che "qualcuno" desiderasse una strage di Marines, in trappola a Saigon, che avrebbe avuto nell’opinione pubblica Americana, da sempre poco propensa all’intervento militare in Vietnam, gli stessi effetti che ebbe l’attacco giapponese a Pearl Harbour. Nessuno aveva autorizzato la missione che ci proponeva e ce lo disse. Ma avendo, Lui, la certezza assoluta, data dal materiale fotografico in nostro possesso, di quanto preparavano i Viet-Kong e preoccupato per l’effetto che, una simile disfatta, avrebbe avuto in tutto l’Occidente Democratico, chiese volontari disposti a partire. Assicurò un viaggio comodo stavolta, addirittura in aereo ... e nessuno potè dire di no! Questa missione fu chiamata in Onore al Generale Giap : operazione Tet Arrivammo in Viet-nam dopo due scali, era la prima volta che facevo un viaggio così lungo in aereo. Durante il volo ci furono mostrate Mappe e fotografie degli obiettivi. Era incredibile quello che avevano escogitato e realizzato i genieri Viet-Kong : soprattutto era impressionante il "dove" avevano costruito quei ponti sull’Annam che, fotografati dal basso, parevano costruiti tra le nuvole. Senza considerare che erano "mobili", nel senso che, per non farli identificare dalle ricognizioni aeree, erano costruiti in maniera da poterli far scendere lungo i crepacci e renderli completamente invisibili, mimetizzandoli con muschi e cespugli vari, quando non dovevano essere utilizzati. Che dire poi delle "Tane ?" Erano gallerie scavate sotto la Jungla, con ingressi invisibili a chi non ci cade dentro ! ; di quelle avevamo le coordinate geografiche, altrimenti non le avremmo potute trovare mai. Ci fu spiegato che quello che ci veniva mostrato era tutto ciò che chiamavano : la Pista Ho-Chi-Minh. Ci fu detto che i Servizi Americani cercavano la Pista Ho-Chi-Minh da anni senza successo, a parte qualche spezzone di galleria (Tana) che credevano secondaria e che, invece, secondo le "Colombe", era parte di quella pista che permetteva alle truppe Nord Vietnamite di spostarsi indisturbate in territorio Sud Vietnam entrando ed uscendo dal territorio occupato dalle forze Americane ed attaccandoli dietro le loro linee per poi sparire nel nulla ("giustiziando", spesso, chi accusavano di collaborazionismo !).

Il fattore che aveva impedito, agli Americani, di scoprire la "pista Ho-Chi-Minh" era, secondo i nostri servizi, che loro ne cercavano una mentre, in realtà, ... erano quattro !. Due scendevano a Sud attraverso la catena montuosa dell’Annam ed erano un obiettivo della I° Centuria Aquile. Due scendevano in Cocincina sul filo del confine Cambogiano, lungo la riva settentrionale del Me-Kong, nel territorio occupato dai Khmer rossi. Attraversavano il fiume sui ponti galleggianti che erano il nostro obiettivo e poi si dividevano su ulteriori quattro direttrici di marcia, (uscendo in superficie solo al coperto della jungla o della macchia), che si coprivano e fiancheggiavano a vicenda per disorientare i Marines, che non capivano mai da dove arrivava l’attacco. Non era solo ingegnoso ... era diabolico ! Chi si veniva a trovare lì in mezzo, non sapendo di che si trattava, non aveva scampo ... era come un tiro al piccione ! e se lo avesse saputo, ma ci fosse finito dentro lo stesso, non avrebbe avuto scampo comunque !

Sulle mappe era tutto chiaro. In certi punti le tane correvano in maniera parallela a distanza di circa trecento metri l’una dall’altra e, sulle mappe, appariva il disegno con cui si coprono con listelli di legno i ponti delle navi oppure, per capirci, quella posa di parquet’s (pavimento in legno) chiamato a "tolda di nave". Non osservai con troppa attenzione la cartografia sulle tane, non erano un nostro obiettivo, ma notai che, per permettere alla fanteria di spostarsi allo scoperto della Jungla, alcune gallerie erano indicate sotto le dighe che separavano le acque delle risaie. Anzi, per l’esattezza, le "tane" più lunghe erano vere e proprie gallerie costruite in bambù, rivestite di stuoie e ricoperte di terra in maniera da apparire dighe tra le risaie. Come detto, con questo incredibile sistema, il Generale Giap, era in grado di manovrare la sua fanteria, dalla Cambogia fin quasi a Saigon, senza mai uscire, completamente, allo scoperto.

Un altra cosa che notai era che, sulla carta, sia le "Tane" che venivano dal Me-Kong che quelle che venivano dall’Annam, dirigevano su Saigon e vi appariva il disegno di una tenaglia che stringeva la città da Ovest e NW e Nord-NE. Pensai che questo Generale Giap era un grande stratega ,... lo ammirammo tutti !. Il viaggio trascorse così. Negli intervalli ci passavano fotografie di trappole, di cui la jungla era piena, escogitate da quei "buontemponi" Viet-Kong e che ... erano assolutamente da evitare. Ricordo che, seduto in fondo, riuscii a farmi un caffè con la mia moka ed il fornelletto da campo. Lo bevemmo insieme ad uno delle Aquile, non ricordo il suo numero ... ricordo la sua faccia.( Non lo vidi più fino al 1996, (quindi aveva ottenuto anche lui "l’imprevisto" ritorno dal Viet-nam), ma solo per sapere che era morto in un incidente d’auto in spagna, nel ’77, come un fesso ... o forse no ?. Lo vidi in televisione in una foto di venti anni fa, per questo lo riconobbi. Ma è una storia incomprensibile, dove una certa Signora Donatella di Rosa diceva di averlo conosciuto vivo, mentre tutti dicevano che era morto, che trafficava armi e cose di questo genere. Ormai, in Italia, è meglio non stare a seguire tutte queste chiacchiere perché è tutto immerso nella follia più totale .

Mi addormentai nonostante gli scricchiolii ed il rumore insopportabile che faceva quell’aereo. Pensai che avrebbero potuto prenderne uno un po' più recente. Era un cargo e stavamo sistemati tra casse e pacchi di non so che, ma non era roba nostra. Alla fine arrivammo, era l’alba e non atterrammo a Saigon, pare che tutte le piste fossero occupate per l’evacuazione di militari e civili e che l’avanguardia (o gruppi di guerriglieri) Viet-kong stesse già combattendo in alcuni quartieri della Città (sembrava che i guerriglieri Viet saltassero fuori dalle fogne e nessuno capiva come facessero e da dove venissero !) . Atterrammo a Nord Ovest di Saigon in una specie di ex-pista d’atterraggio. Ci dissero che eravamo tra Son-Nhut e Long-Xuyen a circa 65 Mls. (100 Km.) da Saigon ed a 40 Mls. dal confine Cambogiano, (ed a 55 Mls. da Kien-Thanh, la costa più vicina, ... già, non mi dispiaceva studiare una possibilità di "imprevisto ritorno"). Eravamo anche più vicini agli obiettivi e ci andava meglio così. Sulle carte avevo visto che gli obiettivi delle Aquile erano alcune croci segnate in rosso tra il confine Cambogiano e due città sui monti dell’Annam: Da Lat e Di Linh. Mi sembrò di vedere anche una ferrovia, ma non ne sono certo. Scendemmo dall’Aereo protestando per la mancanza di ragazze tra il comitato di ricevimento. Qualcuno si era convinto che, prima di partire per il Me-Kong, avrebbe avuto il tempo di fare due salti in Discoteca, ... un po' di luci rosse, come si vede nei film ! . Scaricando il nostro "nécessaire de voyage", (come lo chiamava uno dei nostri, un Italo-Eritreo che, prima di arruolarsi in Italia, era stato nella Légion étrangèr, a Djibouti, nella Somalia Francese) scherzavamo con le Aquile che proseguivano in aereo : "... i soliti raccomandati - dicevamo - ... i signorini vanno sui monti in aereo a ... sssciare e noi, invece, sempre nel fango o nella polvere, con la merda fino al collo !", ... ma era per ridere un pò. Secondo gli ordini non dovevamo ingaggiare combattimento, solo distruggere quei ponti di barche (avevo chiesto, durante il volo, cosa avremmo dovuto fare se i Viet-Kong avessero avuto da ridire e, anziché rispondermi, risero tutti, ... ma la mia era una domanda seria !). Possibilmente gli obiettivi dovevano saltare tutti, più o meno, nello stesso momento, per evitare di segnalare la nostra presenza troppo presto a chi, sicuramente, quei ponti li proteggeva. Il nostro "nécessaire de voyage" erano una ventina di Kg. di esplosivo e 100 metri di miccia detonante a testa (più l’innesco a lenta combustione), cinque bombe a mano, fucile F.A.L - 7,62 lungo N.A.T.O., gladio, beretta cal.9, munizioni quanto basta, toscanelli e fiammiferi (per l’innesco delle micce), gallette e, per contorno, come al solito, ... secondo capacità e fantasia ! Ci separammo. La marcia per giungere sui nostri obiettivi durò circa due giorni. Ci spostavamo stando al coperto e a parte Truppe Americane che, sulla strada o su piste tra macchie e risaie, dirigevano su Saigon e qualche agglomerato di capanne di risicoltori, non incontrammo "nessuno !". Le mappe erano davvero precise e le Colombe avevano fatto proprio un buon lavoro. C’erano sentinelle, ma non furono un problema (se si escludono i problemi di portafoglio perchè, fattili prigionieri, i Kong, per ingannare il tempo, ci sfidarono ad ogni gioco d'azzardo possibile ed immaginabile e ci stavano ripulendo come gonzi!). Anche i genieri Viet-Kong avevano fatto un buon lavoro, le barche usate erano solide, potevano reggere i Giganteschi Carri sovietici che, ormai non avevamo dubbi, sarebbero dovuti passare da lì. Il ponte era pronto sulla riva opposta alla nostra, era ancorato sotto gli alberi, ricoperto di vegetazione e steso lungo la riva, impossibile vederlo se non da terra. Restammo letteralmente ammirati a guardare quell’opera di ingegno, a raccontarlo non ci si crede. Non sapevamo nemmeno se era giusto chiamarlo "ponte di barche". In realtà si sarebbe dovuto chiamare : "Isola galleggiante". Infatti, era una vera e propria isola costruita su Sampan (barche Viet) con bambù e ricoperta di vegetazione del tutto identica a quella sulla riva. Era invisibile fino a che non ci si arrivava di fronte. All’occorrenza, sarebbe bastato sganciare le cime d’ormeggio a monte e si sarebbe aperto da solo unendo le due rive e portando l’intera Armata Viet-kong ,in arrivo, a 98 Km da Saigon.

Però, a dire il vero, guardando quella struttura, pensai che poteva essere usata proprio come "isola galleggiante", cioè ...cosa impediva, in effetti, a chiunque si fosse imbarcato là sopra, di scivolare con la corrente verso Sud, verso il mare: navigando di notte ed ormeggiandosi lungo la riva di giorno. Alle ricognizioni aeree Americane, sarebbe sembrato un agglomerato di vegetazione fluviale, come ce ne erano tante, anche vicine alle risaie della Cocincina! Sarebbero potuti sbarcare fin oltre My T'ho, 20 Mls circa a Sud di Saigon. Ce n'erano altre come questa ...e se fosse stato proprio questo il piano di "Caesar" Giap? Spingerli tutti a Saigon attaccando Hue e poi prendere la città da tutte le direzioni, tagliando Loro anche la via al mare! Non era lo stesso piano che aveva realizzato con successo a Dien Bien Phu? Gli Americani ci stavano cadendo in pieno, proprio come i Francesi nell'offensiva del Tet dell'Anno del Cavallo di legno. ... Ma che genere di servizi informazioni avevano gli Americani?... Che importava? tanto sarebbero saltate tutte in aria! Via radio le altre Decurie avevano già segnalato di essere sugli obiettivi: eravamo quasi pronti ad innescare le mine!.

Era "quasi" un peccato distruggerlo !. Minammo il ponte in più punti, in maniera che non restasse niente da poter riparare e ci mettemmo in contatto con gli altri per attendere che fossimo tutti pronti. Avevamo esplosivo in eccesso, ma non era previsto che arrivassimo tutti sugli obiettivi. (Invece avemmo fortuna e non incontrammo proprio nessuno a parte vedere, di quando in quando, in lontananza, sulle strade tra le risaie, colonne di mezzi militari Americani e Sud Vietnamiti che ripiegavano verso Saigon e, in celo, gli aerei Americani che non potevano vedere alcunché.)

L’esplosivo che avevamo in dotazione (candelotti di dinamite) era antiquato anche per quel tempo : una mistura preparata dai nostri artificieri a base di nitrato d’ammonio, nitroglicerina, dinitrololuolo e molta farina vegetale come assorbente d’urto. Le Aquile ne avevano di più maneggevoli ancora (...non perché erano raccomandati!, dovevano buttarsi sui monti con quella roba sulle spalle), erano stati preparati miscelando la nitroglicerina rispettivamente con materiali assorbenti solidi come la farina fossile o gelatinizzandola con nitrocellulosa e altri ingredienti e con opportuni agenti stabilizzanti. Però il peso maggiore era della cassetta protettiva, metallica ed imbottita !. I nostri specialisti si erano preoccupati di fornirci di materiale esplodente sufficientemente potente ma, nello stesso tempo, di permetterci i movimenti e di ingaggiare combattimento, se necessario, senza esplodere come bombe umane al primo urto. Inoltre, aveva il pregio di non avere meccanismi a rischio di mal funzionamenti. Bastava il Toscanello acceso e sistemate le micce a dovere, o il cavetto della dinamo per la scossa, non ci potevano essere brutte sorprese. Il ponte era in mano nostra, dovevamo solo aspettare di essere tutti pronti. Ingannavamo il tempo pescando un pesce insipido (come tutti i pesci di fiume). La stessa cosa che facevano le sentinelle Viet al nostro arrivo!. Due volte capitò che, il Comando Viet-Kong, chiamò il posto di guardia, chiunque si trovasse davanti alla radio in quel momento, aveva la consegna di miagolare qualcosa tappandosi il naso e raschiare con un chiodo il barattolo metallico sistemato vicino alla radio e, poi, spegnere. Sarebbe sembrato un guasto o una banale interferenza. Insomma, niente di preoccupante da meritare un ispezione! Ora, le sentinelle Viet-Kong, stavano litigando furiosamente con i "vecchi" nella stiva del Sampang di testa, ne avevano fatto una specie di bisca clandestina e ne approfittai per studiarmi la mappa. Eravamo in una zona che non è possibile descrivere brevemente : il Mekong, entrando in Vietnam, si divideva in due bracci, uno era segnato con il nome di "Tien-Giang" e l’altro "Hau-Giang, ma, gli stessi, si dividono ancora in un insieme di nove rami e tutti con il loro nome "diligentemente" segnato sulla mappa dalle Colombe che ci informavano anche che, l’insieme delle bocche era chiamato Cuu-Long (in Italiano : I nove Dragoni). Il risultato di tanta precisione però, è stato che non so dove accidenti ci trovavamo noi !. Secondo i miei calcoli eravamo più a Nord, in territorio Cambogiano, sul braccio più settentrionale l’Hau-Giang e ... già in Cambogia, ma il cartografo non ero io e poi, che differenza faceva ?. Speriamo che il Dragone mi porti fortuna - pensai, ricordandomi che mio Padre (secondo l’oroscopo Cinese) era del segno del Drago ... cercando di convincermi che fosse  "Buon segno !".

Passarono così alcuni dei giorni più lunghi della mia vita. Alla fine però fummo pronti e il ponte saltò prendendo pure fuoco, doveva esserci anche un deposito di carburante sotterrato lì vicino (ben nascosto dal momento che non l’avevamo visto!) o, più probabilmente, era sotto il paiolato di Bambù, nella stiva dei Sampan. Forse c’erano bidoni di carburante per rifornire i mezzi che sarebbero arrivati lì, attraverso il Laos e sicuramente a secco. Davvero ingegnosi, era quasi un peccato aver rovinato una simile festa !. La quantità di esplosivo usata era tale che saltammo tutti per aria per il rinculo dell’esplosione nonostante le precauzioni di rito :"1) Stare sdraiati e tenersi sollevati da terra, soprattutto il ventre, facendo leva sui gomiti. 2) Portare le mani sul viso, indice e medio a coprire gli occhi, i pollici a tappare le orecchie (per salvare i timpani), anulare a chiudere il naso e tenere la bocca aperta per lo stesso motivo. 3) Chi ci tiene alle palle, dicevano gli istruttori, farà bene a tenersi sollevato anche sulle punte dei piedi !". Avevamo fatto sempre tesoro di questi consigli, si può morire per un esplosione ravvicinata e solo perché la depressione, provocata dall’esplosione, distrugge gli organi interni ... esplodono !. Dopo l’esplosione, nonostante le precauzioni, restammo tutti senza fiato, boccheggianti, ed io sperai che nessuno dei resti "dell’Isola" che stavano ripiovendo giù scegliesse proprio il mio pezzettino di foresta per atterrare ... perché ero rovesciato a pancia per aria, in cerca d’ossigeno, e non ero proprio certo di essermela cavata !... Forse avremmo dovuto allontanarci ancora un po' ! ! !. Anche i prigionieri Viet-Kong boccheggiavano, li avevamo legati, ma non per impedirgli di scappare ... La verità era che avevano letteralmente ripulito i vecchi e ... Loro non sapevano perdere, i Viet nemmeno, quindi, per far cessare l'"ammuina" ed avere finalmente un po' di silenzio, li legammo, sequestrammo: dadi, carte "Americain", dame cinesi, carte da Black jack, chemin de fer, Napoletane e Genovesi, bastoncini Shangai ed un mucchio di altri strumenti da biscazzieri! più, naturalmente, il maltolto ... l'"argeant". Restituimmo Dollari e Lire ai nostri "poveri vecchi!" (... che figura però!) e Yuan, Rubli e quant'altro d'Orientale ai "prigionieri". Ed è proprio questo che li rese furiosi, sembravano gatti arrabbiati!. Ma che altro potevamo fare? se è vero che il rientro era un imprevisto, senza soldi era puro azzardo! Li bendammo prima di andarcene ... i loro compagni li avrebbero raggiunti presto e, visti i risultati del loro turno di guardia al ponte, avrebbero passato un brutto quarto d'ora davanti a Giap o a chi per Lui del Vietminh e Noi, non volevamo che sapessero la direzione che avevamo deciso di prendere.

Sentimmo le esplosioni delle Tane più vicine a noi, dovevano essere anche imbottite di munizioni o non le avremmo potute sentire esplodere da quella distanza e sottoterra. Sulle mappe avevo visto che le tane avevano in molti punti delle "camere", degli allargamenti, pensavo che fossero per gli alloggiamenti, evidentemente erano, anche loro, depositi di munizioni. Noi della II° Lupi, eravamo tutti lì :"sulla coda del Dragone", sparsi in un raggio di circa 30 miglia tutt’intorno, su ponti e tane che saltavano una dietro l’altra. Ora veniva la parte più difficile:"l’imprevisto ritorno". Il sole era appena tramontato, in quel punto della Jungla, Cambogiana, al confine col Vietnam, e la notte scendeva rapidamente. Lassù, sulla volta lussurreggiante della Jungla, faceva pensare ad un mondo senza conflitti. Né rabbia, né sofferenza. Nel labirinto fitto e aggrovigliato della boscaglia, nessuno che lottasse per la sopravivenza. Solo 20 uomini, stanchi e tesi, che si apprestavano a trascorrere la notte. Era come se la terra si fosse spopolata e la natura potesse decidere del proprio destino. Improvvisamente, quel silenzio ovattato, irreale, venne rotto dal frastuono di dieci, cento Kalashnikov, o erano mille? Vidi G-30, "Adamo", cadere accanto a me, dopo l'esplosione del suo petto, colpito in pieno da una scarica. L'attimo successivo ero sdraiato a terra e scaricavo il mio FAL in direzione dei lampi che intravvedevo proprio di fronte a noi. Furono attimi d'inferno. Rotolavo e sparavo. Mi ritrovai dietro un grosso tronco, ne intravvedevo la sagoma scura. Era quello dove, un attimo prima ma sembrava che fosse passato un secolo, avevo poggiato il mio zaino e preso la mia moka per preparare un buon caffè. Avevo tre bombe a mano e 2 razzi anticarro nello zaino, di quelli che potevo lanciare innestandoli sul tromboncino lanciabombe. Avevo anche, sempre pronte alla bisogna, nel taschino laterale, cartucce a salve per l'innesto dei razzi. Il tronco mi offriva riparo sufficente per le manovre necessarie e procedetti febbrilmente. In un attimo fui pronto a lanciare. Dovevo decidere dove e per questo dovevo osservare da dove arrivasse il maggior volume di fuoco. Presumevo che lì ci fosse un riparo maggiore sul quale far esplodere i razzi. Avrebbe avuto un effetto devastante: i razzi anticarro del FAL potevano forare 40 cm di corazza d'acciaio, ma dovevano impattare su un ostacolo rigido. Uno dei grossi tronchi di quella Jungla andava benissimo, ma era buio, il cielo si intravvedeva, tra il fogliame, ancora del colore violetto che precede la notte, ma quaggiù non vedevo il mio naso. Non erano soldati del NVA (l'armata regolare del Nord). Quelli non ci avrebbero attaccati al buio col rischio di spararsi addosso tra loro e senza poter vedere l'obiettivo. Ci avrebbero circondato in silenzio e avrebbero aspettato pazientemente l'alba ...facendoci fuori tutti! Erano sicuramente ragazzini, ...Vietkong! I miei commilitoni si erano sdraiati a ventaglio e rotolando rispondevano al fuoco. Strinsi il FAL sul fianco destro e, con un passo in affondo a sinistra, lasciai il riparo facendo immediatamente fuoco. La scia del razzo illuminò la scena e un boato ci mostrò il gruppo principale Vietkong saltare in aria, poche decine di metri davanti a noi. Fu sufficente per darci il tempo di sganciarci. Fui superato da G-47 "Alvaro": "...Via, Via, Via!" - urlava. Ma non scappava, si fermò poco oltre per coprirci la ritirata e poi raggiungerci. ...Così si fa! Corremmo nel buio finchè avemmo fiato, inciampando e rialzandoci e ricadendo ancora. Alla fine ci sentimmo al sicuro e ci predisponemmo per la notte. L'indomani avremmo dovuto riprendere la marcia. Mi assopii senza ricordare nemmeno di aver appoggiato la testa sullo zaino. L'indomani mattina, alle prime luci dell'alba, fummo tutti in piedi e pronti a muovere. Nemmeno il tempo di un caffè, ma eravamo tutti consapevoli di essere cercati. Eravamo noi, questa volta, la selvaggina della caccia. Gli anziani ci incitavano a correre, a far presto, ma per andare dove ! ?. Senza più il peso degli esplosivi eravamo più agili, ci stavamo allontanando verso Est-SE. Attraversavamo tratti di jungla molto fitta e procedere era faticoso, ma anche più sicuro. A volte procedevamo tra canne di Bambù altissime e cercavamo di non uscire mai allo scoperto.

(Me-Kong Hau-Giang '75)

Correvo con gli altri, procedendo in fila, a qualche metro l’uno dall’altro e tenendo sempre sotto tiro alla mia sinistra. Correvo e pensavo che stavamo sbagliando, ripiegavamo su Saigon, non ci saremmo mai arrivati. Ormai tra noi e gli Americani c’erano i Viet-Kong, tutti quelli che aspettavano "l’Armata rossa" sulla pista Ho-Chi-Minh (che non c’era più) e che sapevano che non era stata distrutta dai Phantom USA. Ero sicuro che non avevamo fatto la scelta giusta, che dovevamo ripiegare andando a Nord passando il confine Cambogiano (se già non c’eravamo) e da lì raggiungere Phnom Penh, ancora tenuta dalle truppe governative e filo Occidentali di Lon Nol. Eravamo ad appena 100 Km da quella Città, ed era un percorso da fare al riparo della jungla, dicevo io. "Saigon è a quasi 200 Km da qui, ed è un percorso coperto solo per un tratto, dopo di che ci ritroveremo ad attraversare le risaie, a perdita d’occhio, che abbiamo visto venendo qui", insistevo a dire. Ma, secondo le nostre Mappe, ci saremmo trovati in un "Santuario" Viet-Kong, che stava proprio davanti a noi (erano basi militari Nord Vietnamite in territorio Cambogiano, lungo la linea di confine col Sud Vietnam). Probabilmente era proprio lì che il Generale Giap stava concentrando le sue truppe da traghettare sulla "nostra isola ... che non c’è più !" per l’invasione del Tet !. Ce n’erano molti di questi "Santuari" e tutti lungo il confine ... in territorio neutrale, al sicuro ! ... evidentemente il Generale Giap era un uomo molto, molto religioso ! ... "Senza contare che la Cambogia è quasi del tutto in mano ai Khmer rossi di Pol Pot", ribattevano altri. "A Nord non si passa, per passare ci dovremmo battere ... in 20 contro l’Armata Viet-Kong e, i vincitori ( ! ?), se la dovranno vedere con l’armata Khmer di Pol Pot" . Chiusero la mia proposta ridendo ed io, che restavo contrario ad andare a Saigon, li feci ridere ancora scattando sull’attenti alle parole di G.58 salutando :AVE ...! come se avessi accettato il combattimento proposto, poi, ridendo anch’io, mi sedetti intorno alla carta dicendo :"due sole armate contro venti di noi ! ? ... troppo facile ! Avete ragione. Allora perché non andare ad Ovest ?, è tutta foresta, passeremo i due bracci del Me-Kong e dirigeremo a Khien-Thanh, Golfo del Siam. Sono 100 Km di passeggiata da qui e se non è ancora caduta è fatta : ci faremo rimpatriare dagli Americani. Altrimenti ci procureremo un imbarcazione e lasceremo il Vietnam via mare, siamo la Marina ... o no ? !".Dissi questo perché ero davvero sicuro che era l’unica via d’uscita per noi. Insistei : "Non capite che non si aspetteranno mai che abbiamo preso quella direzione ?. Ci cercheranno tutti e ci cercheranno da qui a Saigon". Ma non ci fu verso di fargli cambiare opinione ... votammo e, 19 a 1, andammo verso la rovina ... verso Saigon ! !.

Ce li trovammo addosso all’improvviso! Non so come ci intercettarono, eravamo stati molto prudenti, forse è stato solo che erano dappertutto ... lo sapevo che avremmo dovuto andare verso Ovest-SW verso il golfo del Siam e Kien-Thanh. Fu davvero dura, anche se le tane erano saltate, ci attaccavano da tutte le parti e non finivano mai. Quelli tra noi che restavano feriti, come avevamo deciso in Assemblea, si fermavano a proteggere la nostra ritirata. Non c’era alcuna possibilità di trasportare i feriti e poi ... per portarli dove ? !. Meglio una morte onorevole, da Gladiatore, in combattimento. Chi avrebbe potuto desiderare di meglio ?. Per noi era davvero il massimo e lo si capiva con quell’ultimo saluto che "i Morituri" ci rivolgevano, consegnandoci le piastrine, prima di essere abbandonati sulla pista : Ave Italia Morituri te salutant ! e furono molti i saluti che ricevetti su quella pista in quei giorni : Ave 60 ... Ave 59 ... Ave 58 ... AVE ! ! ! (Si, forse, eravamo un po’ esaltati, ma quando ci salutavamo così ci sentivamo a Roma, tutti uniti su quell’altare di una Patria che era solo nei nostri sogni di ragazzi, a casa, e poi ... che altro ci restava ! ?) Della IX° e X° decuria riportai in Italia 19 Piastrine.

L’Armata Americana era lontana, forse aveva già ultimato l’evacuazione di Saigon e noi, "tanto per cambiare", eravamo di nuovo "Stay-behind" (dietro le linee). Rimasto solo e, vista la situazione, feci una nuova Assemblea. Questa volta avevo la maggioranza e cambiai direzione ... che diavolo ci sarei andato a fare a Saigon , a marciare con i Viet-Kong in parata ? !. Non sapevo che stava accadendo tutt’intorno a me, ma non tanto da non capire che i Kong (i rossi) avevano vinto. Anche il Vietnam era caduto ... o era stato Liberato ! ?, mah ! ... "Ai posteri l’ardua sentenza" disse un saggio. Io, adesso, avevo il solo dovere di tentare di essere tra quei posteri e, per riuscirci, tornai indietro, verso il fiume. L'odore di marcio della jungla e la paura di essere catturato da un nemico invisibile mi convinsero a valutare meglio quella realtà. Non dovevo avere fretta. Ce l'avrei fatta, lo sentivo,ma non dovevo avere fretta. Avevo perso il conto dei giorni, forse erano gli ultimi e preferivo ascoltare gli uccelli cantare al mattino ed alla sera. Mi ricordavano che un nuovo giorno era nato, un altro era passato ... ed io ero ancora vivo !. Il silenzio era rassicurante e, quando la stai per perdere, ogni attimo di vita lo assapori con gioia. Anche immerso in un lurido fiume, tormentato da insetti e a rischio sanguisughe. Una strada che conduceva a Saigon era un fiume in piena di Civili che fuggivano verso la direzione opposta. Dovevo prendere anch’io quella direzione, ma da solo, non potevo certo passare per "civile Viet". Dopo essere stato immerso nel Me-Kong quasi due giorni per sfuggire ai Viet-kong che ci cercavano, la mia carta era quasi inservibile, ma ricordavo perfettamente quella che avevo visto sull’aereo e la città sul mare : Kien-Thanh, dovevo dirigermi là. Scendere lungo il Me-Kong, pattugliato com’era dai barchini Viet-Kong, era troppo pericoloso e poi, nessun civile fuggiasco lo faceva, significa che non era consigliabile. Inoltre, se i civili in fuga non vanno a Saigon, ma se ne allontanano, questa era un ulteriore conferma che "l’imprevisto ritorno", passava per Kien-Thanh !. Mi fu prezioso l’addestramento fatto sui monti intorno a Poglina, lì era molto più difficile nascondersi. Non feci l’errore di aver fretta di lasciarmi il Vietnam alle spalle. Forse è proprio questo che portò i miei commilitoni a volersi dirigere a Saigon ... la fretta di rientrare, la speranza di arrivare in tempo per montare su un comodo aereo e ritrovarsi a casa in poche ore. Io no, non avevo fretta e non ne avrei avuta !.

Stavo immerso nel fiume, sotto una piccola zattera di rami e foglie dove stavano le mie armi, e lentamente, molto lentamente, la pilotavo verso il centro del fiume, ma come se fosse la corrente a farlo. Non c’era anima viva, ma la regola numero uno dell’addestramento era : muoviti come se tutto il mondo tenesse i riflettori su di te. Ero talmente immobile che persino piccoli animaletti e dei pesci, attirati dal calore del mio corpo, trovavano rifugio sotto la mia tuta mimetica. Regola numero due : tutto quello che si muove sono "proteine" e quello che sta fermo sono "vitamine". Non importa quanto ci avrei messo, ma sarei tornato dal Vietnam e : "si accettano scommesse" ! - gridai col pensiero a me stesso, ma non scommise nessuno contro di me. Mi ci vollero solo una decina di giorni per raggiungere il mare. Dalla carta potei calcolare che facevo una media di sei o sette Km al giorno, ma non avevo fretta. A volte mi avvicinavo al limitare della selva per spiare una strada dove colonne di civili, come un fiume in piena che non scemava mai da giorni, si allontanavano da Saigon ! ! ! Anche loro, come me, non avevano fretta, ciò che contava era riuscire ... non in quanto tempo !.

Interi villaggi di pescatori "emigravano" dal Vietnam ormai caduto. Raggiunta la costa, imparai a spostarmi dentro le foreste di mangrovie. Non fu affatto facile, non c’è intrigo di rami e radici più fitto, ma mi sentivo al sicuro là in mezzo e poi, l’acqua era salata, ero di nuovo in mare ... un buon segno per me !.

(Kien-Thanh: Mangrovie)

 

Spostandomi così mi stavo allontanando da Kien-Thanh, ma, al mio arrivo nella periferia della Città, avevo visto colonne di soldati Viet-Kong muoversi indisturbate sotto la bandiera rossa ed avevo considerato che non era il caso di presentarmi al porto a cercare un imbarco. Stavano già procedendo con i "rastrellamenti di collaborazionisti", li avevo visti caricare sui camion diverse decine di persone, sicuramente colpevoli di non essere comunisti !. Raggiunsi il limitare di quella formazione di mangrovie a Sud di Kien-Thanh in circa tre giorni (me l’ero presa comoda, ... non sapevo dove andare !). Quel tratto di foresta si interrompeva su una spiaggetta nascosta tra gli alberi. Lì c’erano alcune imbarcazioni da pesca che, chiaramente, si preparavano a salpare. La presenza a bordo di donne, bambini ed animali mi diceva che erano profughi ... quindi non comunisti e stavano scappando, ... proprio come me !. Uscii allo scoperto e, camminando nell’acqua, li raggiunsi. Le donne ed i bambini che giocavano sulla spiaggia fuggivano, li spaventai, ... già dovevo essere impresentabile ! Erano gente pacifica ed io ero armato fino ai denti, mi preparavo a vendere cara la pelle. Usai un linguaggio universale, andai verso quello che sembrava il gruppo degli "anziani del villaggio" tenendo il Fucile alto sopra la testa. Mi fermai e dissi solo : I’m friend, ... were are you going ?. Vous n’est pas un Américain ! - rispose il più anziano, in uno stentato Francese. Ouì, Monsier, je ne suis pas un Américain, je suis un Italien - dissi io - ... en transit pour l’Italie ! Aggiunsi, alla loro sorpresa, facendoli ridere. Ma questo non cambiava la mia situazione. C’erano due Giunche Cinesi e tre Sampan ed, a colpo d’occhio, avrebbero affrontato il mare navigando al limite della linea di galleggiamento.

(Giunche Cinesi e Sampan)

Indovinando i miei pensieri, qualcuno aveva impugnato vecchi fucili da caccia, ma non avevo alcuna intenzione di fare la guerra a donne e bambini per ... "fuggire". Lo feci capire offrendo la mia borraccia vuota al capo villaggio. La prese e me la riconsegnò, di li a poco, piena d’acqua ; una donna, nel frattempo, mi aveva dato da bere acqua di cocco (era bello essere di nuovo in mare, ma l’acqua del fiume la potevo bere, quella del mare no). Andai a sedermi all’ombra. Non so cosa avrei fatto, ma, di sicuro, non li avrei obbligati a portarmi con loro, avrei continuato verso Sud ... chissà ! e se no ... Ave !.

Assistei a tutti i preparativi, avevano imbarcato anche i cani, (ma perché li mangiavano). Tentavano ormai da tempo di far partire i motori senza riuscirci, quando mi alzai per raggiungerli. Stando nell’acqua spiegai loro come fare, ma era inutile. Il capo mi fece cenno di provarci io. Salii e riuscii a far partire il motore ... era un vecchio motore Francese dell’epoca coloniale (forse un Berliet ! ?) con avviamento a cartuccia esplosiva e manovella. Se non si dà un colpo deciso e preciso, al momento giusto, non esplode ... che Dio lo benedica !. Se li erano procurati chissà dove per lasciare il Vietnam. Per la pesca usavano le vele, ma per traversare il Golfo del Siam fino alla penisola di Malacca gli anziani avevano "saggiamente" deciso di superare le bonacce (niente vento), attrezzando di motore le due Giunche che avrebbero trainato i tre Sampan. Un bel convoglio di incoscienti non c’era che dire. Mi trovai proprio a mio agio tra loro ! Sulla Giunca, ammassati come topi, fu fatto posto anche a me (avevo trovato imbarco da macchinista !).

(Sampan)

Potei capire che erano tutti diretti nella penisola di Malacca dai loro Parenti. Seppi in seguito che persino navi Italiane si trovavano in quelle acque per raccogliere i profughi, ma non fui così fortunato. Impiegammo sette giorni a traversare il golfo della Thailandia e raggiungere la Penisola di Malacca. Da lì, uno dei loro parenti mi aiutò a raggiungere la ferrovia del Sud Est Asiatico (era stata fatta dagli Inglesi e congiungeva Bangkok con Singapore). Feci un lungo viaggio di circa 500 Kilometri (il treno impiegò quasi due giorni!) attraverso la foresta Malese fino a Singapore dove potei darmi una ripulita in un buon Hotel. Vendetti le armi e l’equipaggiamento e, con quello che avevo in tasca, trovai imbarco per l’Egitto e poi in Italia. A Roma feci rapporto al Generale, consegnai le piastrine "superstiti" dei miei commilitoni caduti (non erano 19, ne avevo perse alcune negli spostamenti e credo di ricordare che ne riportai in Italia 12) e seppi che anche altri erano rientrati.

In Italia, Giornali e Telegiornali davano la notizia che Saigon non era ancora caduta o, più precisamente, dicevano che stava cadendo in quei giorni. Potei vedere le immagini alla TV, quindi era vero ... o no!?. Si vedevano sparatorie tra Marines e i Guerriglieri di Giap, strada per strada, a Saigon. Gruppi di Guerriglieri stavano attaccando l'Ambasciata Americana ed i Marines resistevano per dare tempo alla Marina di evacuare completamente la Città ... Il piano di Giap e del Vietminh! Ma, potendo disporre delle sole avanguardie, quelle da sempre presenti intorno a Saigon e, con il grosso dell'Armata impossibilitato ad attraversare il Me-Kong, nè a scendere dall'Annam, il grande assalto a Saigon del 10 Febbraio 1975 e l'offensiva del Tet '75, il terribile piano che prevedeva il massacro di tutte le forze Americane e Sud Vietnamite confluite su Saigon, non potè essere messo in atto. Non avrei davvero voluto essere nei panni di quelle sentinelle (o dovrei dire: biscazzieri!?). Tuttavia, dalle notizie che venivano diffuse, potei capire che "Caio Giap Cesare" (così lo chiamammo dopo aver visto di cosa era capace, anche nelle progettazioni delle opere dei suoi genieri ... proprio come il "nostro" Cesare) non si perse d'animo: le forze che dal Nord dovevano attaccare Huè, come diversivo all'accerchiamento di Saigon, furono, sicuramente, rinforzate dalle riserve dirette a Sud; quelle presenti nei "Santuari", frattanto, dovevano essere state impiegate in una marcia forzata per risalire a Nord- Est e passare il confine nel tratto che costeggia l'Annam ed attendere, fiduciosamente, la rotta dell'esercito Sud Vietnamita che, secondo Cesare Giap, non sarebbe mancata ...oppure, erano una forza pronta ad essere impiegata per attaccare, "anche" alle spalle, l'Armata degli Nguyèn del Sud!. Non aveva più scampo nessuno laggiù! Come i Galli del "de Bello Gallico" e Pompeo, dopo che l'altro Cesare lanciò quei dadi!. "Alea Iacta Est, Caesar Giap!" ... se avesse rallentato l'offensiva su Huè, per attendere di ripristinare la "via Ho-Chi-Minh", sarebbe stato sconfitto: l'Armata Americana avrebbe lasciato, ai Sudisti, armi e mezzi a sufficienza per contrattaccare ed il suo momento sarebbe passato, ma non fece errori ... per questo vinse! Noi, comunque, portammo a termine la nostra missione e non ci fu alcun massacro ...a parte il nostro! La guerra del Vietnam stava finendo nell'unico modo possibile!

Fui lasciato libero solo pochi giorni, fino a fine Aprile ‘75. In Angola la "Colonna Libertad", che avevamo addestrato l’anno prima, era impegnata in combattimenti con altre formazioni guerrigliere che si contendevano l’Angola dopo l’abbandono del Portogallo. La Missione ricevuta voleva che tentassimo di formare un fronte comune con tutte le forze Anti Comuniste presenti in Angola, il nome in codice rimase: "Primavera dei Garofani di Luanda".

N.d.R.: Alcuni visitatori mi hanno scritto gradite lettere dicendomi che è incredibile quanto hanno letto su The Real History of Gladio, in quanto nessun giornale Italiano ha mai riportato una sola notizia di quanto hanno letto in questo sito. Devo dare atto che è così, ma, del resto, nella pagina "I giornali Italiani" Noi stessi ci meravigliavamo delle menzogne che leggevamo sui giornali!. Viene considerato incredibile soprattutto che i capi militari e politici del Nord Vietnam comunista e "proletario" fossero, in realtà, Nobili feudatari della stirpe Imperiale degli Nguyèn, discendenti dell'Imperatore "Già Long" (il Dragone di Giada, Imperatore di Hue ed unificatore del Vietnam). Noi, invece, ci meravigliavamo che tali situazioni che erano in evidenza, sotto il naso di tutti, passassero inosservate, come se fossero scontate. Era scontato che le "Rivoluzioni popolari", in Cina come in Vietnam, e dovunque in Asia, in realtà, erano gestite da Mandarini, Principi e Duchi feudali che gestivano il potere "Rivoluzionario" con durezza e ferocia degna dei "Loro" Avi ...però, i Democratici, erano "Loro"!. Questa Nostra storia vera, giocoforza e per ovvii motivi, è un breve riassunto. Vorrei però aggiungere, per chi dovesse ancora avere dubbi, che risulta noto che tutto il mondo era a conoscenza del fatto che a negoziare gli accordi di pace a Parigi, (nel gennaio 1973, poi perfezionati nel giugno '73, con il quale si volevano eliminare le continue violazioni ai trattati precedenti), con Henry Kissinger, Segretario di Stato U.S.A., veniva inviato a rappresentare Hanoi un signore di circa sessanta anni, membro del Politburo dal 1954 e poi segretario del Partito dei Lavoratori del Vietnam (ex partito Comunista Indocinese), il quale rispondeva al nome di "Le Duc Tho". Sapete che significa? Significa "il Duca di Tho"! (quale Tho? ...My-Tho, Can-Tho ...?), ma nessun giornalista ha mai fatto alcun commento su questo ...come su tutto il resto! Io credo che tutto ciò si commenti da solo, non vi sembra?.

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